La bella olandesina
Se chiude i suoi occhi si ritrova lì al pub, un balzo indietro di circa 15 anni, a Dublino. Al pub non è che si parlasse tanto, bastava la musica, violino e tamburello che davano un ritmo che entrava nel corpo. Non l’avrebbe mai confessato, ma faceva molta fatica a tener ferme mani e piedi a due passi dalla pista da ballo. Ma la pista sceglieva di guardarla dal retro della sua pinta di birra così grande, che se voleva riusciva a nasconderci quasi tutto il suo viso. E la sala si colorava di giallo.
La bella olandesina ha perso la mamma a circa due anni e mezzo e me lo dice a pochi minuti dalla mia prima visita a casa sua. Poi ascoltandomi lamentare dei pianti della mia piccola, forse chissà per i dentini, mi suggerisce di darle carote crude da sgranocchiare, come faceva con lei la sua mamma. Non solo me lo dice, ma si alza, va in cucina, sbuccia una carota, la passa sotto l’acqua e la porge alla mia piccola, dicendo col sorriso: “Guarda è buona e fa bene alle gengive, ne ho mangiate così tante io e le mie bambine ne andavano ghiotte”.
Ha i capelli biondo dorato e i suoi occhi sembrano dire continuamente, che ti credi? Che non riesco a berla questa birra? Non sono certo venuta qui per sculettare in mezzo alla pista. E così i pomeriggi trascorrevano veloci al pub coi fratelli e gli amici dei fratelli, in pratica era l’unica femmina del gruppo, solo il biondo stonava nei suoi gesti da maschiaccia.
Ho provato a riconoscerla nella sua casa, nelle file dei libri in sala, nelle foto di famiglia, nel servizio del tè, nell’elegante composizione del cesto con la frutta fresca, negli sguardi accoccolati sulle sue bambine dai capelli biondo chiaro. Poi ad un certo punto all’ennesimo “mamma, vogliamo ballare!” lei sceglie un cd, che prende quasi ad occhi chiusi tra le decine di etichette colorate appese sul muro.
Nel pub la musica sembrava non voler finire mai e diventava sempre più veloce, ma i pensieri riuscivano ad andare ancora più veloci e non sempre riusciva a stargli dietro. Lo vedevi da come guardava, con quello sguardo che si accendeva e si spegneva a intermittenza. Avrebbe voluto che quelle giornate non finissero mai e che la nebbia restasse ad attenderla fuori dal locale per tanti giorni ancora. Una nebbia avvolgente come un abbraccio che cercava per sentire i brividi.
Era il suo gioco preferito, perdersi nella nebbia e non farsi trovare. Capitava che la cercassero per un po’, ma lei alla nebbia aveva abituato gli occhi, la pelle, il cuore.
Le prime a lanciarsi nelle danze sul tappeto in sala sono le sue due bimbe, che nel frattempo si sono vestite da principesse ed elfi. Bianca resta a guardare un attimo, poi mi guarda un po’ impacciata, poi riguarda in mezzo alla sala e si lancia con le sue inconfondibili smorfie da clown, saltellando su un piede e sull’altro al ritmo di violino e tamburello.
Bionda, dov’eri?
Avevo voglia di farmi un giro, una boccata d’aria, questa birra mi ha tagliato le gambe. Poi ho incontrato una tizia che non vedevo da tempo e mi sono persa via. Che si fa?
Battevo le mani a ritmo e la guardavo, per un attimo ho avuto la sensazione che non fosse più lì con noi, con le bimbe, in quella sala, in mezzo ai quelle file di libri, davanti al cesto di frutta, tra le foto di famiglia.
Ti piace il mio colore di capelli? Forse mi sono un po’ trascurata, qualche volta mangio male, lo so, ma i capelli li pettino tutte le sere, vedi mamma come sono lucidi?
La nebbia confondeva i contorni delle cose e delle parole, che tornavano indietro, ogni volta, senza risposta.
Un antico proverbio popolare irlandese dice: “Se riuscirai a mantenere vivo un ramo verde nel tuo cuore nell’ora dell’oscurità, allora il Signore verrà e manderà un uccello a cantare da quel ramo all’alba del giorno”.
Quel giorno era pomeriggio inoltrato, quasi buio e le bimbe cantavano, eccome se cantavano.
SaraTP