La Vienna che mi piace
Marzo 2004.
Da qui ha inizio la mia esperienza lavorativa al Call Center della Sagem Philips di Vienna. Dicono che abbiano localizzato questo Centro a Vienna per il suo tratto multiculturale. In effetti Vienna attrae molti giovani di diversa provenienza, per cui è normale uscire la sera e incontrare nei locali ragazzi, non solo dei più vicini paesi dell’est, ma anche inglesi, olandesi, spagnoli, francesi, indiani, iraniani, cinesi e ovviamente anche gli inconfondibili italiani.
La mia storia al Call Center ha inizio in un immenso stanzone diviso per aree senza sofisticate barriere architettonica a separare quella marea di persone incuffiate, a spanne un centinaio di ragazzi seduti o riversi sulle poltrone di fronte ai computer, contornati da fax, telefoni e stampanti.
Dopo il colloquio con la bionda austriaca dal sorriso dolcissimo e gli occhi di ghiaccio, che faceva scalette, insiemi, freccette delle mie parole, mi faccio un giro e scopro che ad abitare questo stanzone ci sono ragazzi che parlano si e no 5-6 lingue diverse. Subito alla mia destra una quindicina di francesi dal tono di voce dolce e suadente che a sinistra si fa più incalzante perché qui trovo seduti ragazzi spagnoli, una macchia di colore che spicca sul grigio topo della moquette. Procedo verso un gruppo di ragazzi che pare abbia spostato i colori dalle magliette degli spagnoli ai propri capelli e alle braccia tatuate, con piercing ovunque, i tedeschi. E in un attimo il Buenos dias, si trasforma in Grüß Gott. Col gruppo dei tedeschi mi segnalano la presenza di tre ragazzi austriaci, ma non si notano tanto.
Poi finalmente ho la visione. Li vedo lì piazzati nell’angolo in fondo, ma li sento benissimo anche dall’ingresso, si alzano, si siedono, si rialzano, camminano mentre parlano e s’incazzano, ma poi ridono, ridono spesso. Italiani. E nell’angolo opposto, diametralmente opposto, trovo il gruppo degli inglesi. Un mondo a parte.
Questo il mio posto di lavoro.
Tra di noi parliamo tedesco o per meglio dire il tedesco-francese con i francesi, il tedesco-spagnolo con gli spagnoli. Con gli austriaci e i tedeschi veri parliamo il nostro tedesco- italiano e con gli inglesi l’italiano- inglese. Sembra impossibile, ma riusciamo a comunicare tra noi. Ci capiamo perché siamo uniti dalla stessa esperienza, che non è certo figlia della passione per la decodifica dei fogli gialli o della vendita dei toner.
Capisco presto che sto andando a rinforzare le fila di questo gruppo di malinconici stranieri in terra straniera, che si lamenta di Vienna, dell’Austria che è fredda e dei viennesi che lo sono anche di più, ma che hanno deciso di vivere qui un periodo più o meno lungo della loro vita, quasi tutti arrivati in questa città per amore, per seguirlo o per scappare da una delusione. A conti fatti non siamo che un gruppo di giovani romantici e idealisti che sta bene insieme. C’è chi ha deciso di emigrare dal caldo per avvicinarsi alla propria amata che suo malgrado è nata dove le temperature toccano i – 10 gradi in inverno, dove non c’è mare e dove il sole si concede con misura.
La misura è la parola d’ordine che bisogna imparare e mai dimenticare assieme al controllo, alla discrezione che rasenta l’indifferenza, all’ordine estremo percepibile ovunque ti muovi nelle cose ben sistemate, nelle persone che non suonano mai il clacson, nei cani che non senti mai abbaiare.
Ma va bene lo stesso. Una birra e passa tutto.