L’uomo senza mani
llustrazioni di Monica Gorla / Illustrations by Monica Gorla
Lo trovarono una mattina d’agosto girovagare per le strade di un piccolo paese dell’agro pontino. I poliziotti avvisati da diverse chiamate di paesani spaventati, si trovarono davanti ad un uomo vestito di pezze logore che rideva come un pazzo. A vederlo così tanto ridere non veniva che da ridere. Nessuno riusciva però a capire come fosse possibile tanta euforia in qualcuno che, a meno di essere tutti matti come lui, sventolava in aria braccia monche, senza entrambe le mani. E le sventolava. E più le guardava, più rideva. Sembrava davvero felice di non averle più attaccate quelle mani.
Gli agenti restarono attoniti, chi passava di lì per caso, scappava via disgustato. Solo qualche bambino tentennava: “ma non gli fa male?”. Nelle ore successive gli agenti cercarono informazioni per risalire all’identità di quell’uomo deforme. Ma nessuno sapeva, nessuno parlava. Qualcuno sembrava ricordarsi di lui, ma non poteva essere la stessa persona. Non poteva essere lui. Le voci cominciarono a circolare per tutto il paese, le ipotesi si moltiplicarono. Poi una prevalse su tutte. Era lui e lui era tornato.
C’era una volta un viaggiatore venuto da lontano, che usava sistemarsi col suo teatrino di marionette nelle piazze del paese a mettere in scena i suoi spettacoli. I bambini lo adoravano, i genitori si spellavano le mani a furia di applaudire quei bambolotti animati dall’uomo divenuto famoso per quei incantevoli gesti. E più d’una perse la testa per l’estroso artista dai capelli lunghi e brizzolati, con quelle mani che passavano e ripassavano a pettine nella chioma fluente.
Lo chiamavano il maestro. Il suo teatrino di cartone diventò un appuntamento fisso in tanti paesi della zona. E non c’era piazza che non lo accogliesse con folle entusiaste, richiamate da una popolarità passata di bocca in bocca, di paese in paese.
Il maestro era anche un essere di straordinario altruismo, sempre pronto al momento giusto. Al suo passaggio non perdeva occasione di stringere mani, incontrare persone, offrire loro una spalla di consolazione, un vero amico. Le sue erano state imprese memorabili e i suoi racconti ne trasmettevano tutta la forza. Con la sua inconfondibile favella li portava a braccetto per strade, in paesi mai visti, ma così ben descritti da sembrare vicini e reali. E quando raccontava aveva quel modo così affascinante di muovere le mani. Faceva come disegni nell’aria. Al suo arrivo era tutta una festa e la partenza lasciava nel paese un lungo e persistente stato di malinconia. Ai bambini per rassicurarli si diceva: non temete, il Maestro tornerà presto!
Così andò avanti per anni, poi però un giorno il Maestro non tornò più.
Ci si chiedeva cosa fosse successo, dove fosse finito e perché mai non avesse più voglia di tornare. Qualche avvistamento, sempre più rarefatto, ma nessuno ebbe più sue notizie.
Le voci arrivate da lontano parlavano di un Maestro che col tempo cominciò a confondersi. Si disse che col tempo, spettacolo dopo spettacolo il suo fascino perse brillantezza e i racconti sembrarono sempre più strampalati intrecci di avventure di seconda serie. Si disse anche che ai primi segnali d’insuccesso rivelò un’insolita durezza, un’aggressività fatta di parole e di pugni serrati. Sembrava sempre più stanco e faticava a nascondere la sua frustrazione nei sorrisi nervosi, negli sguardi sfuggenti. Anche coi suoi pupazzi non riusciva più ad incantare nessuno.
Si disse che finì col restare solo, col suo teatrino di cartone, mani in mano e con un centinaio di marionette inanimate. Poi accadde che le sue mani cominciarono a fargli male, da troppo tempo non si impiegavano a muovere ed tendere fili. Non bastò sfregarle con la sabbia per alleviarne il dolore. Provò con unguenti, con ghiaccio, con acqua bollente. Le fasciò, ma divennero rigide e cominciarono a calcificarsi. Gli divenne praticamente impossibile anche solo attaccare i fili ai suoi pupazzi. Cominciò così col disperderli per strada. Ormai doveva concentrarsi sull’unico pensiero fisso, doveva togliersi di dosso quel male lancinante.
Fu costretto ad abbandonare anche il suo teatrino. Restò solo a girovagare e pregò Dio che gli togliesse quelle mani. Gli urlò notte e giorno, implorando di essere risparmiato di tanto dolore che non lo lasciava più. Gonfie di sangue rappreso, pesanti, inutili. Giurò, minacciò e promise di essere disposto a perdere tutto.
Li ritrovarono a girovagare intontiti e disorientati, con qualche ricordo sfumato di paesi lontani, di risate, di musica ma con la sensazione netta di un tocco protettivo e rassicurante. Erano uomini, donne, bambini spariti improvvisamente dai loro paesi, così nel nulla, di cui era rimasta traccia solo nei fascicoli aperti dei vari casi di misteriose sparizioni degli ultimi 15 anni. Irrisolti perché mai più ritrovati, ma accomunati da un’inspiegabile coincidenza. Erano tutti orfani di madre i suoi pupazzi.
STP