Bella Napoli, Blue Whale e le costellazioni
Percorrendo un bel pezzo di stivale in treno verso Napoli, mi sarei più immaginata di riposare cullata tra i pensieri e il panorama anziché condividere l’angoscia dei due genitori seduti di fronte a me che si interrogavano sul senso del Blue Whale. Con i due simpatici genitori napoletani ho vissuto tutte le fasi tipiche di questi lunghi viaggi in treno. Quando ti trovi a meno di due metri da sconosciuti che stanno lì davanti o di fianco a te per 4 o 5 ore e un po’ ti viene da presentarti con i gesti e le frasi di circostanza da finto salotto in cui, tuo malgrado, finisci seduto. Quando in qualche modo se hai qualcosa di importante che ti riguarda, questa cosa deve assolutamente uscire, un buon lavoro, una famiglia senza pieghe, un successo, un pettegolezzo. Due medici, con figli piccoli, di rientro a Napoli da un convegno a Milano e il servizio delle Iene come tema lancio della discussione.
Non è che non sapessi cosa fosse il Blue Whale. Rientra tra le cose che da quando sono diventata mamma, sposto del tutto consapevolmente da qualche parte chissà dove, per non lasciarmi travolgere da una miscela esplosiva di emozioni, che possiamo sintetizzare in una parola unica: paura. Per cui ne avevo letto, ma a piccole dosi e lo avevo lasciato lì. Per ritrovarmelo in prima visione nelle espressioni dei due genitori che, una cuffietta a testa, scorrevano le immagini di quel servizio e da lì parevano non volersi staccare più. I commenti si sono fatti sempre più silenziati, le espressioni serie, concentrate, poi attonite e sconvolte a guardare (a quanto sentivo) quei ragazzi lanciarsi nel vuoto, ripresi dalla telecamera perché giunti all’ultima prova, la 50°. La scena del mio film in prima visione è terminata con i miei compagni di viaggio muti e assorti nei loro reciproci e solitari pensieri. Ma proprio in quel momento li ho sentiti vicini, pur non essendoci parlati neanche per un attimo dall’inizio del nostro viaggio. Sconosciuti, ma empaticamente sintonizzati sull’angoscia.
Napoli ha avuto voglia di darmi fin da subito, appena uscita dalla stazione, qualche risposta. Il traffico sconclusionato, l’aria di mare, i colori, la gestualità dei suoi abitanti mi hanno accolta nell’abbraccio vigoroso di cui avevo bisogno, ricordandomi tutto ciò che il Sud riesce ancora a conservare e che al Nord ciclicamente dimentico, una genuinità un po’ fanciullesca che alleggerisce le fatiche e i brutti pensieri. Tutti colleghi di telefonino, ma con sguardi intensi, curiosi e avvezzi a soffermarsi, che mi arrivano dentro.
I social network sono stati per me una scoperta entusiasmante, nemmeno potevo sognarmi che un giorno avrei avuto voglia di condividere i miei pensieri lanciati in rete in maniera tanto diffusa né di avere voglia di leggere quelli degli altri. Non avrei immaginato che sarei arrivata alle notizie in modo così rapido e che avrei scoperto tante cose nuove. Ci sono arrivata tardi e ricordo bene la campagna dei “nativi digitali” e di quanto fosse importante armare i bebè di tablet già dai primi vagiti in culla, perché vuoi mettere il vantaggio in rapidità di apprendimento? E io ancora del tutto sprovvista di qualunque dispositivo di navigazione veloce che non fosse un router che gracchiava per 5 minuti, un giorno vidi un documentario in TV che esaltava le potenzialità della rete attraverso il racconto di una bambina di più o meno 6 anni. Era seduta sul divano di casa sua, piegata testa in giù sul suo tablet a guardare le costellazioni e passava ore e ore a cercarle, allargando, spostando, muovendo le sue dita veloci sullo schermo. La bimba alla fine del servizio poi disse: “Tutto quello che desidero ce l’ho qui tra le mie mani, tutto quello che voglio, qui dentro posso trovarlo”, rimasi colpita, ma non mi affascinò a tal punto da voler cercare le stelle in un tablet.
Tablet oggi non ne ho, ma ho un telefono connesso un buon numero di ore al giorno dal quale pesco notizie, col quale mi rilasso, al quale affido (spesso) i miei pensieri in modo liberatorio e narcisistico, lo so. Credo di volere bene al mio telefonino per l’opportunità che mi offre di avere h24 una finestra sul mondo e per le possibilità a gratis che offre a chiunque come me abbia voglia di raccontarsi.
Ci sono arrivata da grande, i miei figli ci sono nati, con una facilità di accesso sempre maggiore e non posso che augurarmi di potergli fornire tutti gli strumenti possibili per non aver troppa voglia di esplorare quei buchi neri che si trovano in rete, così come nella vita reale, per non aver tutta quella voglia di mettersi in cammino su quelle strade buie che in adolescenza ti trovi per forza ad affiancare. Per difendersi dai Blue Whale o allo stesso modo dalle tette di Irina in formato gigantografico, piazzate in tutti gli angoli della città.
E non possono che essere strumenti emotivi.
Oggi credo che la vera privilegiata sono stata io nativa pre-digitale, perché ho avuto più tempo per prepararmi e un tempo sufficiente per sviluppare il desiderio di ciò che non sapevo nemmeno cosa fosse né tanto meno dove fosse, ma che cercavo, di più nelle cose reali, osservando il mondo fuori dallo schermo.
Come quando da adolescente trascorrevo interi pomeriggi tra le praterie di CD esposti negli Store Musicali a sfregare sotto il lettore il codice a barre dei CD di artisti sconosciuti cercando musica nuova. Nemmeno sapevo chi erano i Garbage, le Bjork, i Moloko, i Texas…e me ne tornavo a casa che non vedevo l’ora di scoprire tutte le altre tracce, chiudere gli occhi e continuare a sognare le mie stelle e le costellazioni.